venerdì 23 agosto 2013

GIACOMO LEOPARDI









Giacomo Leopardi

ALLA SUA DONNA .




Cara beltà che amore
lunge m’inspiri o nascondendo il viso,
fuor se nel sonno il core
ombra diva mi scuoti,
o ne’ campi ove splenda
p iù vago il giorno e di natura il riso;
forse tu l’innocente
secol beasti che dall’oro ha nome,
or leve intra la gente
anima voli? o te la sorte avara
c h’a noi t’asconde, agli avvenir prepara?

Viva mirarti omai
nulla spene m’avanza;
s ’allor non fosse, allor che ignudo e solo
per novo calle a peregrina stanza
verrà lo spirto mio. Già sul novello
aprir di mia giornata incerta e bruna,
te viatrice in questo arido suolo
io mi pensai. Ma non è cosa in terra
che ti somigli; e s’anco pari alcuna
ti fosse al volto, agli atti, alla favella,
saria, così conforme, assai men bella.

Fra cotanto dolore
quanto all’umana età propose il fato,
se vera e quale il mio pensier ti pinge,
alcun t’amasse in terra, a lui pur fora
questo viver beato:
e ben chiaro vegg’io siccome ancora
seguir loda e virtù qual ne’ prim’anni
l ’amor tuo mi farebbe. Or non aggiunse
il ciel nullo conforto ai nostri affanni;
e teco la mortal vita saria
simile a quella che nel cielo india.

Per le valli, ove suona
del faticoso agricoltore il canto,
ed io seggo e mi lagno
del giovanile error che m’abbandona;
e per li poggi, ov’io rimembro e piagno
i perduti desiri, e la perduta
speme de’ giorni miei; di te pensando,
a palpitar mi sveglio. E potess’io,
nel secol tetro e in questo aer nefando,
l ’alta specie serbar; che dell’imago,
poi che del ver m’è tolto, assai m’appago.

Se dell’eterne idee
l ’una sei tu, cui di sensibil forma
sdegni l’eterno senno esser vestita,
e fra caduche spoglie
provar gli affanni di funerea vita;
o s’altra terra ne’ superni giri
fra’ mondi innumerabili t’accoglie,
e più vaga del Sol prossima stella
t ’irraggia, e più benigno etere spiri;
di qua dove son gli anni infausti e brevi,
questo d’ignoto amante inno ricevi.


Carissimi  per voi .

Iside


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